Il fenomeno della natimortalità, o nascita senza vita, rappresenta una delle tragedie più profonde e meno visibili nell’ambito della salute globale. Ogni anno, milioni di famiglie affrontano il dolore di perdere un bambino nel grembo materno, un evento che colpisce a livello personale, familiare e sociale, ma che riceve sorprendentemente poca attenzione. I dati globali sono eloquenti: nel 2021, si sono verificati 3,03 milioni di nati morti, equivalenti a circa uno ogni dieci secondi.
Questo problema non riguarda solo i Paesi a basso e medio reddito, ma si manifesta anche nelle nazioni più sviluppate, dove sistemi sanitari avanzati non riescono a eliminare del tutto il rischio. In un panorama globale in cui altre sfide sanitarie – dalla mortalità neonatale a quella sotto i cinque anni – stanno ottenendo maggiore attenzione e risorse, la natimortalità continua a essere trattata come una questione marginale, nonostante l’enorme impatto emotivo, economico e sanitario che comporta.
Un nuovo studio condotto dal gruppo di collaboratori dell’unità Stillbirths del Global Burden of Disease e pubblicato su The Lancet, che ha analizzato una serie di dati lunga 30 anni ovvero dal 1990 al 2021, ha permesso di fare nuova luce sul problema.
Le dimensioni del problema
La natimortalità, definita come la morte fetale dopo una certa soglia di gestazione, varia nei tassi e nelle modalità di misurazione tra i Paesi. A livello globale, il tasso di natimortalità (SBR, Stillbirth Rate) è di circa 23 nati morti ogni 1000 nascite per gravidanze oltre le 20 settimane. Se si considera una soglia più alta, come le 28 settimane, il tasso diminuisce leggermente, ma rimane comunque significativo.
L’Every Newborn Action Plan (ENAP), un’iniziativa delle Nazioni Unite, si è posta l’obiettivo di ridurre il tasso globale di natimortalità a meno di 12 per 1000 nascite entro il 2030. Tuttavia, il progresso è lento e disomogeneo. Solo il 3% dei Paesi a basso e medio reddito è attualmente in linea per raggiungere questo traguardo, mentre in molte aree del mondo la situazione resta stagnante o addirittura peggiora.
Disuguaglianze globali: una crisi radicata nella geografia e nel reddito
Le disuguaglianze nel tasso di natimortalità riflettono profondamente le disparità economiche e sociali globali. Circa il 75% dei nati morti si verifica in due regioni principali: l’Africa subsahariana e l’Asia meridionale.
Nell’Africa subsahariana, dove il tasso medio è di 28 nati morti ogni 1000 nascite, fattori come l’accesso limitato ai servizi sanitari, l’insufficienza di personale medico qualificato e la carenza di infrastrutture sanitarie compromettono la sicurezza delle gravidanze. Le madri spesso non ricevono cure prenatali adeguate, e le complicazioni durante il parto – come infezioni, emorragie o sofferenza fetale – diventano letali.
In Asia meridionale, con un tasso medio di 25 per 1000, altre barriere giocano un ruolo fondamentale. La discriminazione di genere, che limita l’accesso delle donne a cure mediche tempestive, si combina con fattori economici che scoraggiano la prevenzione e il trattamento delle complicanze ostetriche.
Nei Paesi a reddito alto, i tassi di natimortalità sono significativamente più bassi, ma non inesistenti. Ad esempio, in Italia e Bielorussia, pur con un sistema sanitario avanzato, il progresso nella riduzione della natimortalità è più lento rispetto a quello della mortalità neonatale. Questo suggerisce che la natimortalità riceve una priorità inferiore rispetto ad altre problematiche legate alla salute materno-infantile.
Le cause della natimortalità
La natimortalità può essere attribuita a una vasta gamma di cause, spesso prevenibili. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le principali sono:
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Complicazioni durante il parto: La sofferenza fetale, il travaglio prolungato e la mancanza di assistenza ostetrica qualificata sono fattori comuni nei Paesi a basso reddito.
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Infezioni materne: Malattie come la malaria, la sifilide e le infezioni del tratto urinario possono provocare la morte del feto, specialmente in aree con scarsa disponibilità di antibiotici o altre terapie.
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Condizioni croniche materne: L’ipertensione, il diabete e i disturbi autoimmuni possono aumentare il rischio di natimortalità, soprattutto quando non vengono monitorati e trattati adeguatamente.
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Problemi legati alla gravidanza: Placenta previa, distacco della placenta e ritardi di crescita intrauterina rappresentano fattori di rischio significativi.
In molti Paesi, la mancanza di audit sui casi di natimortalità impedisce di identificare le cause precise e di adottare misure correttive.
L’impatto della pandemia di COVID-19
La pandemia di COVID-19 ha ulteriormente esacerbato il problema della natimortalità, soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito. I lockdown, le restrizioni di movimento e la pressione sui sistemi sanitari hanno ridotto l’accesso alle cure prenatali, portando a un aumento dei casi.
Uno studio condotto in 12 Paesi ha evidenziato un incremento significativo del tasso di natimortalità durante i periodi di lockdown, legato principalmente al ritardo nelle cure e alla riluttanza delle donne a recarsi negli ospedali per paura del contagio. Anche in contesti ad alto reddito, come nel Regno Unito, si sono registrati aumenti preoccupanti, dimostrando come la pandemia abbia avuto un impatto trasversale.
Il problema della sottostima
Uno degli ostacoli principali alla lotta contro la natimortalità è la sottostima del fenomeno. I dati disponibili sono spesso incompleti o inaffidabili, soprattutto nei Paesi a basso reddito, dove molte nascite senza vita non vengono registrate.
Questa sottostima è amplificata dalle differenze nelle soglie di definizione: mentre in alcuni Paesi ad alto reddito si considerano i nati morti a partire da 22 settimane di gestazione, molti Paesi a basso reddito utilizzano la soglia delle 28 settimane. Di conseguenza, una fetta significativa dei nati morti – fino al 30% a livello globale – non viene conteggiata, impedendo un’analisi accurata del problema.
Le soluzioni possibili
La riduzione della natimortalità richiede un approccio multifattoriale che combini interventi medici, politiche sanitarie e sensibilizzazione sociale. Tra le azioni prioritarie:
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Migliorare l’accesso alle cure prenatali e ostetriche: L’assistenza qualificata durante la gravidanza e il parto è essenziale per prevenire complicazioni. Investire in infrastrutture sanitarie e formare personale qualificato può fare la differenza.
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Promuovere audit e raccolta dati: Analizzare i casi di natimortalità permette di identificare le cause principali e adottare misure mirate.
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Sensibilizzare le comunità: In molte società, la natimortalità è considerata un tabù. Rompere il silenzio su questo tema può aiutare le famiglie a chiedere e ottenere le cure necessarie.
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Investire nella ricerca: Studi mirati, specialmente nei Paesi a basso reddito, possono fornire nuove soluzioni per prevenire i nati morti.